Imparare a proteggere la nostra poesia

integrato con le note esplicative a piè di pagina.

(tratto da ”Sulla poesia” di Claudia Radi, Capitolo ottavo, Paragrafo due; tutti i diritti riservati)

Vorrei parlare del sentimento dell’invidia, anche se mi rendo conto che non è assolutamente facile farlo (ragionarci prima e parlarne poi…).

I motivi sono di diversa natura.

In primo luogo, parlare di un argomento come questo, ritengo possa contribuisce a sporcare la nostra mente; solo i professionisti del settore sanno gestire le perversioni senza restarne coinvolti e in qualche modo infettati.

In secondo luogo, non prestando sufficiente attenzione durante il tentativo di analizzarla, si rischia di codificare e riconoscere come normale, un comportamento a tutti gli effetti malato, ingiustificato e più infettivo del Covid 19.

Purtroppo, ahimè, l’invidia esiste ed è il veleno più pericoloso in circolazione.

Si caratterizza per la presenza di un vuoto sottostante nel portatore, dal quale fuoriescono correnti gelide che investono il/la malcapitato/a in modo meccanico.

Si, perché la persona invidiosa è robotica.

Nessun essere umano, infatti, sarebbe capace di provare invidia per un altro essere umano; qualche piccola gelosia rientra nella normalità, ma niente di più è tollerabile.

Non esistono vere motivazioni alla base dell’invidia e questo penso sia evidente a tutte le persone che esercitano l’intelligenza.

Un sentimento legato a un profondo senso di frustrazione e infelicità, intesa come mancanza di vitalità, come non sentirsi vivi, l’invidia ci dimostra quanto può essere pericoloso non amare chi siamo.

L’invidia purtroppo esiste ahinoi e chi la prova vorrebbe fare del male agli altri, che sceglie a turno ciclicamente.

A volte riesce a fare del male quando incontra esseri umani normali intenti a vivere con gioia la loro vitalità e il loro sentirsi vivi.

L’invidioso/a si lancia sul/la prescelto/a come se fosse un vampiro che ha necessità di prosciugare la linfa vitale del/la malcapitato/a, che è ignaro/a dell’esistenza di tanta cattiveria e povertà d’animo.

Ecco perché, così come la legge non ammette ignoranza,[10] anche la vita esige di essere conosciuta e difesa; eccellentissimi prima di me hanno già affermato che prevenire è meglio che curare.

Certo, la buona fede giustifica, ma non salva.

Non ci salva dalle conseguenze affermare: ‘’Io non lo sapevo!!’’, ‘’Come potevo anche solo immaginare una cosa del genere!!”.

Quindi, essere in buona fede non giustifica la nostra inattività.

Una volta studiate le possibili manifestazioni contro la vita, infatti, possiamo attuare la consapevolezza e con essa indossare l’armatura della conoscenza che sa proteggerci in caso di necessità.

Il tipo di indifferenza che la consapevolezza ci aiuta ad esercitare, uccide l’invidioso. Se non lo uccide molto probabilmente lo farà ammalare: dipenderà dal livello d’intensità con il quale l’invidioso è capace di provare il sentimento dell’invidia.

E pensare che tutto questo avviene solo perché l’invidioso, innumerevoli anni prima, ha venduto la sua primogenitura per un piatto di lenticchie…[11]

Sono profondamente convinta che non sia giusto falsare i nostri comportamenti e chi siamo, magari anche solo per la paura di rimanere soli; sarebbe comunque una finta compagnia….

Non esiste alcun baratto nel quale sia possibile scambiare la nostra originalità, la nostra vitalità, la nostra intelligenza, e riuscire a ricevere in cambio cose di altrettanto valore.

Ma soprattutto: non può esistere una disponibilità da parte nostra in tal senso.

Che nessuno accetti più quel piatto di lenticchie quindi e, per dirla come nel Siddharta di Hermann Hesse: ‘’Io so pensare. So aspettare. So digiunare’’[12], fin tanto che tutto quello che mi appartiene, nella verità della mia esistenza, non accada


[10]principio romanistico ‘’ignoranza iuris (legis) non excusat ’’, ripreso dall’articolo n.5 del Codice penale ‘’Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”.

[11] E’ diventato un modo di dire che significa ‘’ricevere un compenso bassissimo rispetto al valore di ciò che si dà’’; l’origine deriva da un brano della Bibbia, Genesi,25,34 ( edizioni CEI 2008), nel quale si racconta che Esaù, rientrato affamato dalla campagna , vide Giacobbe che aveva cotto delle lenticchie e per poterne avere un piatto promise in cambio al fratello la sua primogenitura.

[12] Paragrafo ‘’Tra gli uomini-bambini’’, pagina 86 (Hermann Hesse, Siddharta, Adelphi editore 1992).

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