N.4_marzo 2024_pensieri periodici dal blog: Il progresso, la misoginia e l’odio on line.

Abbiamo fatto molti progressi, soprattutto nell’ambito tecnologico e medico.

Sono stati acquisiti faticosamente molti diritti civili e sono state introdotte normative importanti, tutele e deterrenti, contro la violenza sulle donne.

Tuttavia, facciamo un passo indietro.

Nel 1975 (L.n.151), la riforma del diritto di famiglia in Italia ha finalmente messo fine allo stato di vera e propria schiavitù nel quale, fino a quel momento, le donne avevano vissuto.

Questa riforma è stata preceduta da un tormentato iter parlamentare (quasi nove anni), ma il 19/05/1975 è stata finalmente approvata con larghissima maggioranza, con la sola astensione del Movimento Sociale.

Se pensiamo che, prima di questa riforma, la norma riconosceva al marito la potestà maritale consentendogli la facoltà di fissare la residenza familiare a suo piacimento, con l’obbligo della moglie di seguirlo ovunque (ex art.144 C.c.) e l’istituto della dote, allora esistente, regolamentava l’apporto dei beni che il padre della sposa trasferiva alla proprietà del marito come contributo per il matrimonio, allora possiamo comprendere meglio il tipo di mentalità dalla quale proveniamo.

Queste pratiche evidenziano in modo inequivocabile il tipo di mentalità precedente alla riforma.

Nella concezione anteriforma, infatti, predominava una concezione autoritaria e gerarchica basata sul principio di ‘autorità del marito sulla moglie e del padre sui figli’.

Con la riforma, la potestà maritale fu abolita e si passò dalla “potestà del padre” alla “potestà genitoriale”.

Da un punto di vista patrimoniale la separazione dei beni allora in vigore, rendeva di fatto (salvo eccezioni) nulla tenente la moglie casalinga e/o lavoratrice al nero, costringendola a subire qualsiasi tipo di sopruso subisse all’interno delle mura domestiche e, nella maggior parte dei casi, tollerare i tradimenti del marito.

Però, anche se la parola “patria-potestà” sparì dal codice, in Italia il concetto rimase intatto, mantenendo invariata l’organizzazione sociale.

A distanza di quasi quarant’anni, non sono stati raggiunti completamente i risultati della parità di genere ottenuta faticosamente a livello legislativo, poiché ci sono ancora disuguaglianze nelle opportunità di studio e di lavoro per le donne rispetto agli uomini.

Le molestie che le donne subiscono sul posto di lavoro sono la dimostrazione che le leggi servono a poco quando l’educazione degli uomini, molto spesso, resta relegata nell’ambito della misoginia.

L’odio on line che prende di mira le ragazze e le donne ne è la dimostrazione.

Inoltre, ritengo che fin tanto ‘la maternità’ non sarà considerata un valore aggiunto per la società e trattata come tale, con supporti e sostegni concreti alle famiglie (tutte, in primo luogo quelle disagiate), le donne continueranno a subire le discriminazioni di genere esistenti ancora oggi.

Nonostante i cambiamenti avvenuti dal 1982, anno in cui ho compiuto 18 anni, e le ragazze di oggi siano più consapevoli delle proprie capacità e dei propri diritti, in grado di prendere decisioni e portarle avanti con coraggio, dobbiamo constatare con profonda tristezza, che molte di loro ancora non ce la fanno a raggiungere la piena maturità e realizzazione, per il concetto di proprietà aleggiante su di loro, di quelle mentalità maschili che vogliono impedirglielo con ogni mezzo.

Claudia Radi (.blog)

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