Tempo fa ho scritto una divagazione personale sul tema della banalizzazione dei problemi ( pubblicata in questo blog il 23.09.2023).
Questa mattina, mentre sorseggiavo il caffè (freddo, del giorno prima, per mancanza di tempo), un’ulteriore riflessione sull’argomento mi ha spinto a scrivere questa integrazione.
Se è vero che, banalizzando i problemi, molto spesso si crea un’escalation della gravità degli stessi, è anche vero che a volte è inevitabile e non ci si può sottrarre.
Mi spiego meglio.
Sono cresciuta in una famiglia che valorizzava lo spirito di sacrificio, il lavoro e l’impegno assoluto nel fare bene quello che ci si chiamava a fare: i tre pilastri fondamentali della mia educazione.
Ora mi chiedo se i problemi che sorgono quando si cresce oltre le aspettative sono la conseguenza di una banalizzazione dei problemi precedenti o del proprio sviluppo personale.
Sappiamo tutti che più ci si assume delle responsabilità, più i problemi da gestire aumentano.
E se, da un punto di vista operativo, dimostriamo di essere in grado di risolvere i problemi che inevitabilmente si presentano con l’aumento delle responsabilità, è colpa nostra se le persone ci hanno sottovalutato?
Sono cresciuta imparando a valorizzare la mia intelligenza e, nonostante ciò, ho conservato i valori che mi sono stati insegnati e, nello stesso tempo, sono rimasta: una bella donna, onesta, fiduciosa, solare e corretta.
La conclusione è quindi questa: esistono problemi che, se banalizzati, possono causare gravi conseguenze, ma ci sono anche problemi derivanti da una crescita personale che viene rifiutata dalle persone più vicine.
Quest’ultimo è il problema più grave con il quale mi sto confrontando, in una rete sociale che si coalizza contro il diverso, cercando di travisare fatti che non conosce e non potrebbe dimostrare se chiamata a farlo, serpeggiando, di conseguenza, alle mie spalle per screditarmi.
Purtroppo per loro, sulla mia pelle, con dolore e un grande dispiacere, ho imparato a reagire e a confrontarmi anche con questo tipo di problema, un vero e proprio cancro sociale che, se non avessi avuto 59 anni, mi sarei risparmiata trasferendomi all’estero per lavorare.
(Di Claudia Radi, tutti i diritti riservati)
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