”Ma l’obiettività esiste ancora?”

(inedito della serie ”Divagazioni personali”)

Ed eccoci arrivati al mese di giugno dell’anno 2023.

Quando leggo nei testi le date con l’abbreviazione A.C., rabbrividisco pensando a quanto tempo sia passato da allora e quante persone sono vissute prima di me che adesso non ci sono più.

Se ci pensiamo bene, infatti, raggiungere la consapevolezza di quello che rappresenta l’oggettivo scorrere del tempo può essere sconvolgente: potrà esistere ancora solo quello che si verificherà da questo momento in poi (ops, è già passato…) e del passato resteranno solo dei dipinti, qualche fotografia, alcuni scritti, memorie tramandate oralmente e memorie silenziose personali, ad attestarne l’esistenza.

Per questo motivo l’obiettività nell’approccio di lettura del passato assume un rilievo di portata eccezionale quando siamo chiamati ad interpretarlo o, più semplicemente, solo a prenderlo in considerazione.

Ma sarà ancora utile e importante ‘’la lettura logica’’ degli accadimenti passati?

E per quello che riguarda il futuro ”l’approccio obiettivo ” è funzionale?

Oppure l’analisi del presente e previsionale del futuro sulla base dell’esercizio dell’obiettività e della logica (e quindi anche sulla base degli accadimenti del passato conosciuti e vissuti da altri) potrebbe inibire scelte creative ancor prima del loro insorgere?

Insomma, come si dice…: è meglio ‘’lasciar stare’’ oppure comunque ‘’tentare’’?

Nel tempo uomini illustri (le donne avevano pochissime possibilità di diventare illustri…) per arrivare a formulare le basi della logica, senza le quali nessun confronto verbale sensato tra le persone sarebbe stato possibile, hanno dedicato gran parte della loro vita allo studio.

Le regole della logica, quindi, hanno consentito il progresso del pensiero e, con esso, l’evoluzione degli esseri umani.

La retorica ha curato l’esposizione verbale, arricchito sapientemente la letteratura…

Eppure, nonostante gli strumenti che i nostri avi ci hanno fornito, oggi è evidente la desuetudine dell’esercizio dell’obiettività e quel che è peggio in modo particolarmente diffuso.

Uno dei motivi potrebbe essere legato all’altro aspetto dell’esercizio dell’obiettività, quello negativo, e cioè quello del suo uso strumentale (dal vocabolario Treccani on line: strumentale, detto di ciò che è concepito e attuato non per il suo scopo più immediato, ma per un secondo fine e per un interesse non dichiarato; esempio, ‘’talvolta la stampa fa un uso strumentale degli scandali politici’’) che non promuove lo sviluppo della civiltà ma, al contrario, la sua staticità.

L’esercizio dell’obiettività, infatti, in molti casi sembra essere attuato per confermare uno status quo che, in quanto obiettivamente esistente, inevitabilmente dovrebbe essere accettato per vivere sereni.

Quindi l’obiettività non è sempre ‘’obiettiva’’ e trasparente, ma viene spesso usata all’interno di discorsi retoricamente perfetti, per scoraggiare iniziative innovative e perorare, come dicevo sopra, il mantenimento dello status quo.

Ma nella comunicazione, nell’interpretazione di scritti di vario tipo, che cosa può determinare la mancanza di obiettività e quindi il condizionamento e il fraintendimento dei contenuti?

E una volta capito il motivo, è possibile evitare che nella comunicazione il condizionamento agisca e per questo determini anche l’errata interpretazione dei contenuti da parte dei riceventi?

Essere costantemente investiti da notizie di cronaca e no, che ci mostrano l’irrazionalità dilagante nell’agire e il malcostume imperante, nei casi peggiori può causare il rifiuto ad interessarsene, il rifiuto alla lettura delle notizie; inoltre può indurre alla scelta di non voler conoscere nel dettaglio quanto di spiacevole (a volte aberrante) accade, per la nostra impotenza a porvi rimedio (queste sono alcune delle modalità di azione del condizionamento, riuscire a convincerci di qualche cosa per indurci ad un comportamento prestabilito).

Qual è la causa di tutto questo?

Personalmente ritengo si possa trovare nell’esistenza di un pubblico prevalentemente diseducato all’ascolto e alla lettura e, per la maggior parte del suo tempo, assente a sé stesso (per un eccesso di impegni, per varie nevrosi, per i ritmi vertiginosi e stressanti della vita quotidiana che siamo costretti a sostenere).

Per chiarire che cosa intendo con ‘’essere assenti a sé stessi’’, porterò ad esempio il fenomeno (sempre più diffuso) della permalosità esercitata dai ‘’desueti l’obiettività’’ che, principalmente per una crisi identitaria, ‘’offendendosi’’ ritengono di poterla affermare.

Se hai un’identità non ti offendi, semmai cerchi il confronto con altre identità, e allora perché questo lasciapassare al gruppetto degli offesi, se non addirittura assecondarli nel loro ‘’manierismo’’ (: ‘’..che interessa la gesticolazione, il portamento e il modo di esprimersi, i quali diventano innaturali e affettati’’, tratto dal vocabolario Treccani on line).

La permalosità è un’altra ‘’brutta malattia’’ comportamentale (si, senz’altro ce ne sono di molto peggiori, ma non è sempre vero che tutto quello che non uccide fortifica…) dell’epoca attuale, che offusca la mente e annienta l’obiettività (quella vera, quella positiva che contribuisce alla lettura razionale della realtà, quella che non cerca di condizionarci per farcela accettare così com’è, senza nemmeno tentare di apportarvi delle variazioni).

Ma la ‘’permalosità’’ può essere considerata anche un alibi?

Pensandoci bene e con le premesse sopra esposte, ritengo si possa affermare che il permaloso con questa strategia, non faccia altro che fuggire dal confronto con gli altri.

Senza ombra di dubbio il permaloso è una persona che soffre profondamente per il suo stato, che gli impedisce di essere obiettivo e di accettare, come dicevo, il confronto con gli altri.

Questo non vuol dire che si possa avvallare e giustificare il suo comportamento…in primo luogo per altruismo.

Con questo suo atteggiamento imperituro, infatti, non fa altro che riaprire costantemente la ferita del suo sentirsi inadeguato, allontanandosi dalla verità (non la vuole sentire!!) e inquinando l’ambiente circostante a volte anche con azioni violente.

Ma se provassimo a dimenticare chi siamo quando ascoltiamo e leggiamo, cercando di essere neutri nelle nostre considerazioni, senza lasciarci condizionare dall’esterno e dai nostri stessi limiti?

Un tentativo si potrebbe fare: se l’esperimento riuscisse si potrebbe contribuire alla crescita personale e sociale, si potrebbe agevolare la comunicazione tra le persone e ripristinare, almeno un minimo, l’obiettività (positiva…) perduta!

(di Claudia Radi, tutti i diritti riservati)

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