con piacere ripropongo l’articolo già pubblicato il 09.07.2022 sul precedente sito, della dott.ssa Giorgia Aloisio, Psicologa, specialista in Psicoterapia (Roma); ora come allora trovo l’articolo estremamente rappresentativo dell’attività psicoterapica e ringrazio nuovamente la dott.ssa Aloisio per la sua concessione alla pubblicazione nel mio blog:
”Ci si potrebbe domandare se dagli Psicologi si vada solo perché afflitti da una franca e conclamata psicopatologia, oppure se vi siano altri ‘casi di specie’ che possano rendere utile un percorso di tipo psicoterapeutico.
La risposta che mi sento di dare è che dagli Psicologi è fondamentale recarsi se ci si trova in una condizione morbosa (un disagio di natura nevrotica o un disturbo di personalità sono le categorie diagnostiche che traggono maggior beneficio da questo tipo di intervento) ma che è altrettanto importante rivolgersi ad uno specialista di area psicologica quando si vivono momenti di difficoltà o periodi nei quali ci si pongono più domande del solito, maggiori dubbi, quando ci si sente più fragili o ci si interfaccia con situazioni critiche che necessitano decisioni e cambiamenti.
Gli psicologi sono operatori sanitari che si occupano di promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità: questo è uno degli aspetti cruciali del nostro operato, e ce lo ricorda immancabile il Codice deontologico. Questo punto sottolinea che il nostro compito riguarda la salute mentale in toto, sia che si tratti di casi di patologia che di situazioni di disequilibrio non morboso. Il nostro ruolo consiste nell’aiutare le persone a migliorare la comprensione di loro stesse e degli altri, ad incrementare la consapevolezza, a mettere in atto comportamenti congrui ed efficaci. E molto altro, ma per ora fermiamoci qui.
Gli psicologi non si sostituiscono mai, ci tengo a sottolinearlo con enfasi, all’altro: piuttosto siamo tenuti a stimolare la riflessione del paziente, a permettergli un confronto pacato ma sincero con tutte le parti di sé (quelle coscienti e quelle inconsce, le parti più gradevoli e quelle più dolorose, inaccettabili del Sé), per imparare quanto sia importante coltivare l’accettazione di sé e degli altri.
Quest’ultimo elemento potrebbe far porre qualche quesito: perché mai concentrarsi sull’accettazione, quando il desiderio sottostante è il cambiamento?
Cosa ci andrei a fare da uno specialista, se devo accettare supinamente aspetti di me o degli altri che non trovo gradevoli?
La risposta è che non possiamo cambiare tutto ciò che troviamo spiacevole nel nostro modo di essere: ci sono tratti di personalità che fanno parte di noi e che è impossibile (a volte anche non desiderabile!) modificare.
Per quanto riguarda gli altri, dobbiamo sempre tenere a mente che non abbiamo il potere di cambiare le persone che si sono intorno, non sarebbe nemmeno giusto laddove fosse possibile, ma in ogni caso ogni individuo ha il diritto, in quanto indivisus e quindi indivisibile, di rappresentarsi come desidera e come può, senza essere in questo ostacolato o inibito.
La scelta finale, di fronte alle vicende piccole o grandi della vita di un paziente, deve essere sempre prodotta dalla persona che abbiamo davanti e noi Psicologi dovremmo tendenzialmente accogliere le decisioni dei pazienti, anche quando non sono in linea con le nostre idee – sempre che non si tratti di propositi lesivi nei confronti del paziente stesso o di altri!
Oltre all’esame di sé stessi, in un percorso psicoterapeutico equilibrato ed armonico è anche di estrema rilevanza una riflessione dedicata ai membri del nucleo familiare, quindi sia dei parenti più stretti (genitori, fratelli, sorelle, figli) che della famiglia più allargata in senso più ampio, andando, ove possibile, a considerare anche le altre generazioni (nonni, bisavoli, nipoti).
Recentemente una paziente ha condiviso con me una riflessione “forte”: la sua considerazione era che gli Psicologi tendono a “colpevolizzare” i genitori di tutti o parte dei mali che affliggono i pazienti.
La sua osservazione mi ha molto colpita, probabilmente è frutto di una proiezione di un suo personale convincimento al riguardo: in realtà il lavoro che noi Psicologi facciamo, in collaborazione con i nostri pazienti, non è quello di “mettere alla gogna” l’operato dei genitori, né di giudicarli (compito di un tribunale, piuttosto che di una seduta psicoterapeutica), quanto, piuttosto, di osservare e prendere coscienza delle persone che sono state i nostri genitori e dell’influenza che il loro modo di essere e di agire ha avuto sulle nostre personalità e, più in generale, sulle nostre vite.
Tutto ciò serve a comprendere l’impatto di certi stili educativi, di certe psicopatologie genitoriali e di distinguere ciò che è “nostro” da ciò che invece appartiene ai nostri genitori: il fine ultimo di un lavoro psicoterapeutico consiste nel raggiungimento del processo di individuazione, cioè cogliere l’opportunità che tutti noi abbiamo per distinguerci dagli altri per le nostre unicità e particolarità, evitando di vivere nell’ombra degli schemi altrui.
Sento fortemente l’importanza di questo tema, quello appunto dell’unicità, elemento che mi ha spinto a scrivere questo articolo e a collaborare con il blog della dott.ssa Radi, fortemente incentrato su questo vitale argomento.
«La verità di un soggetto non si situa nel suo corpo, nelle sue caratteristiche biologiche o nei suoi geni, ma nel suo psichismo»
Sophie Marinopoulos, Nell’intimo delle madri: luci e ombre della maternità.”

Note dall’autrice e sua breve biografia: In questo articolo ho utilizzato il maschile plurale per riferirmi sia a soggetti maschili che femminili. L’italiano ce lo permette e soprattutto, come ci ricorda l’Accademia della Crusca, nella lingua italiana il genere maschile non corrisponde al genere sessuale, ma è un “genere grammaticale non marcato”, che non implica alcuna prevaricazione del sesso maschile inteso come “sesso biologico”. Per un maggior approfondimento: https://www.repubblica.it/cultura/2021/09/24/news/l_accademia_della_crusca_interviene_su_schwa_e_asterisco-319271624/
